L'età a cui un figlio oggigiorno esce di casa, nel nostro paese, è mediamente intorno ai 30 anni: andar via dalla famiglia di origine per costruire la propria autonomia comporta per ogni giovane adulto un grande cambiamento, sia sul piano concreto sia rispetto all'assetto interno.
Trovare un'abitazione e un lavoro che dia sufficiente stabilità economica, avviare una convivenza/ sposarsi, avere dei figli, sono tutti passi che richiedono capacità di adattamento e mettono continuamente alla prova.
D'altra parte, l'uscita del figlio coinvolge anche i genitori, i quali a loro volta devono attivarsi per rispondere ai cambiamenti che la separazione da lui comporta, accettando che si autonomizzi e riconoscendogli lo status di adulto.
Pur avendo saputo fin dalla nascita del figlio che questo giorno sarebbe arrivato, i genitori avvertono sensazioni di mancanza e vuoto e, pur essendo felici del passo intrapreso dal figlio, possono provare una grande tristezza.
Inoltre, dopo tanti anni in cui erano in compagnia dei figli, i genitori si trovano a vivere da soli e questo mette in gioco nuove dinamiche: si apre una nuova stagione della vita, nella quale tendenzialmente torna in primo piano il rapporto col partner e si fanno i conti con il tempo trascorso ed il proprio invecchiamento.
In genere, occorrono alcuni mesi per riadattarsi emotivamente alla nuova situazione. In alcuni casi, però, lo stato di malessere è particolarmente acuto e si protrae nel tempo, con manifestazioni quali ansia, senso di colpa, rabbia, irritabilità e a volte si può sviluppare una psicopatologia conclamata.
La sindrome del nido vuoto non è una diagnosi clinica, bensì un'espressione coniata da psicologi e sociologi americani negli anni '70, per descrivere lo stato di tristezza e abbandono che molti genitori, in prevalenza le madri, soffrono nel momento in cui i figli vanno via di casa.
Assume la connotazione di un vero e proprio lutto, con vissuti di perdita e di abbandono, poiché si perde quel ruolo di accudimento genitoriale su cui gran parte dell' identità dei genitori si fonda.
Anche la coppia può entrare in crisi, per via di conflitti irrisolti rimasti latenti per anni e/o per via di conflitti nuovi, in quanto ogni partner è maturato per conto proprio nel tempo e si fatica a trovare qualcosa che tenga ancora uniti.
Quando ci si accorge che da soli non si riesce a reagire e i sintomi diventano particolarmente invalidanti, compromettendo la qualità della vita per periodi di tempo prolungati, ci si può rivolgere ad un professionista, per un percorso individuale o di coppia, per ricevere sostegno psicologico ed essere aiutati ad avviare un processo di elaborazione della separazione dai figli.
Dr.ssa Stefania ArcainiL'età a cui un figlio oggigiorno esce di casa, nel nostro paese, è mediamente intorno ai 30 anni: andar via dalla famiglia di origine per costruire la propria autonomia comporta per ogni giovane adulto un grande cambiamento, sia sul piano concreto sia rispetto all'assetto interno.
Trovare un'abitazione e un lavoro che dia sufficiente stabilità economica, avviare una convivenza/ sposarsi, avere dei figli, sono tutti passi che richiedono capacità di adattamento e mettono continuamente alla prova.
D'altra parte, l'uscita del figlio coinvolge anche i genitori, i quali a loro volta devono attivarsi per rispondere ai cambiamenti che la separazione da lui comporta, accettando che si autonomizzi e riconoscendogli lo status di adulto.
Pur avendo saputo fin dalla nascita del figlio che questo giorno sarebbe arrivato, i genitori avvertono sensazioni di mancanza e vuoto e, pur essendo felici del passo intrapreso dal figlio, possono provare una grande tristezza.
Inoltre, dopo tanti anni in cui erano in compagnia dei figli, i genitori si trovano a vivere da soli e questo mette in gioco nuove dinamiche: si apre una nuova stagione della vita, nella quale tendenzialmente torna in primo piano il rapporto col partner e si fanno i conti con il tempo trascorso ed il proprio invecchiamento.
In genere, occorrono alcuni mesi per riadattarsi emotivamente alla nuova situazione. In alcuni casi, però, lo stato di malessere è particolarmente acuto e si protrae nel tempo, con manifestazioni quali ansia, senso di colpa, rabbia, irritabilità e a volte si può sviluppare una psicopatologia conclamata.
La sindrome del nido vuoto non è una diagnosi clinica, bensì un'espressione coniata da psicologi e sociologi americani negli anni '70, per descrivere lo stato di tristezza e abbandono che molti genitori, in prevalenza le madri, soffrono nel momento in cui i figli vanno via di casa.
Assume la connotazione di un vero e proprio lutto, con vissuti di perdita e di abbandono, poiché si perde quel ruolo di accudimento genitoriale su cui gran parte dell' identità dei genitori si fonda.
Anche la coppia può entrare in crisi, per via di conflitti irrisolti rimasti latenti per anni e/o per via di conflitti nuovi, in quanto ogni partner è maturato per conto proprio nel tempo e si fatica a trovare qualcosa che tenga ancora uniti.
Quando ci si accorge che da soli non si riesce a reagire e i sintomi diventano particolarmente invalidanti, compromettendo la qualità della vita per periodi di tempo prolungati, ci si può rivolgere ad un professionista, per un percorso individuale o di coppia, per ricevere sostegno psicologico ed essere aiutati ad avviare un processo di elaborazione della separazione dai figli.
Dr.ssa Stefania Arcaini
Rubrica dedicata a tematiche psicologiche, a cura della dottoressa Stefania Arcaini, psicologa e psicoterapeuta specializzata nella psicoterapia di adolescenti e adulti. Per suggerire temi da affrontare scrivetemi:
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