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I FEMMINICIDI

La giornata internazionale contro la violenza sulle donne di sabato 25 novembre ha visto la partecipazione di centinaia di migliaia di persone a cortei, manifestazioni, sit in, flash mob ed altre iniziative in tutta Italia. L'afflusso di persone è stato superiore agli anni scorsi, per via dell' ondata di indignazione generale che il femminicidio di Giulia Cecchetin  ha suscitato nel paese.

Il femminicidio è una forma estrema di violenza di genere che ha radici profonde e cause psicologiche complesse, che coinvolgono molteplici fattori: sociali, culturali ed emotivi.

I femminicidi non sono raptus, non succedono all' improvviso, ma sono preceduti da un crescendo di abusi fisici e psicologici, che possono durare mesi o anni. In un recente studio pubblicato il 7 ottobre 2023 sulla rivista scientifica Legal Medicine, che analizza 3546 articoli e 75 studi,  Emanuele Caroppo e gli altri autori arrivano alla conclusione che il femminicidio “non è un raptus o una perdita di controllo ma un comportamento violento intenzionale, legato a fattori sociali e culturali”. È solo una minima parte dei femminicidi, statisticamente insignificante, ad avvenire per mano di individui con disturbi mentali diagnosticati.

Gli uomini che agiscono tali crimini all'inizio della relazione sentimentale si mostrano affettuosi e premurosi verso la partner. Il comportamento violento inizia a manifestarsi quando la donna avanza delle critiche al suo compagno e lo mette in discussione, mostrandogli le sue mancanze, le sue inadeguatezze.

La violenza omicida esplode, nella maggior parte dei casi, quando la donna vuole chiudere la relazione e l'uomo si sente minacciato di essere abbandonato, oppure dopo la separazione o ancora quando scopre che la ex partner ha avviato un nuovo legame sentimentale. In ogni caso si tratta di una reazione spropositata alla decisione unilaterale della donna, vissuta dal partner come un' umiliazione intollerabile, un'offesa alla virilità che si aggiunge al vissuto di abbandono. Un'offesa talmente grave da desiderare di vendicarsi annientando fisicamente colei che l'ha “perpetrata”. Dietro al gesto omicida ci sarebbe pertanto un' incapacità dell'uomo di sopportare un abbandono e di tollerare una ferita al proprio orgoglio maschile; incapacità che gli studiosi di questo fenomeno mettono in relazione da un lato ad una cultura maschilista di tipo patriarcale, dall' altro lato alla fragilità identitaria.

Si tratterebbe di uomini cresciuti nel pregiudizio culturale che riduce la donna ad oggetto da possedere e che considera il sesso femminile inferiore a quello maschile. Sono maschi che vivono la donna, una volta conquistata, come un proprio possesso, un proprio attributo e che ritengono di poterne disporre come vogliono: la partner è reificata nella condizione di oggetto posseduto, anche con la forza. E' proprio quando la donna manifesta una propria volontà autonoma, che questi uomini si sentono minacciati, sia rispetto alla perdita di dominio nella relazione, sia rispetto ad un' immagine grandiosa di sé, che crolla. Paradossalmente l'uomo che esercita violenza sulla donna si sente debole, insicuro e disorientato di fronte a una donna libera e determinata. Come afferma lo psicoanalista Massimo Recalcati: "Rivendicare un diritto di proprietà assoluto - di vita e di morte - sul proprio partner non è mai una manifestazione dell' amore ma la sua profanazione. Qui il narcisismo estremo si mescola con un profondo sentimento depressivo: non sopporto di non essere più tutto per te e dunque ti uccido perché non voglio riconoscere che in realtà non sono niente senza di te. Uccidersi dopo aver ucciso tutti: il mondo finisce con la mia vita (narcisismo), ma solo perché senza la tua io non sono più niente (depressione)."

Le misure per contrastare questo fenomeno richiedono un impegno a vari livelli: politico, sociale educativo. Lo psicoterapeuta Matteo Lancini, presidente dell'associazione Minotauro, sta sperimentando un progetto da portare nelle classi: “considerare la fine di un rapporto di coppia come parte del rapporto stesso. Imparare a lasciare e a essere lasciati. La mediazione dell' abbandono è vitale perché rabbia, tristezza e violenza verso sé e gli altri non siano più un dramma… Occorre partire da un' alfabetizzazione emotiva degli adulti, che si interessi della fragilità dei ragazzi, per evitare che eventi del genere si ripetano”.

Dr.ssa Stefania Arcaini

 

Rubrica dedicata a tematiche psicologiche, a cura della dottoressa Stefania Arcaini, psicologa e psicoterapeuta specializzata nella psicoterapia di adolescenti e adulti.  Per suggerire temi da affrontare scrivetemi:  arcainistefania@gmail.com



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