E’ indubbio che nell' ultimo anno il peso della situazione emergenziale e delle relative misure restrittive sia ricaduto sulle spalle dei genitori, i quali si sono trovati a dover riorganizzare la vita familiare e a destreggiarsi tra vari compiti: prendersi cura dei figli, farli studiare, lavorare in smartworking, fare la spesa, cucinare, etc. A questo si aggiungono le preoccupazioni economiche e il costante timore del contagio, per sé e i propri cari.
Tutto ciò ha comportato un aumento dello stress, soprattutto per le madri, le quali sono tuttora maggiormente coinvolte nell'accudimento dei figli.
Inoltre, la riduzione dei rapporti sociali con amici, parenti, colleghi e la minore possibilità di ricevere aiuto nella gestione dei figli (in particolare la rinuncia al supporto dei nonni, per non esporli al rischio di contagio), hanno comportato per molti genitori un senso di isolamento, solitudine ed esasperazione.
Quando le richieste a cui si è sottoposti superano le risorse di cui si dispone per farvi fronte, ci si sente sopraffatti e lo stress rischia di sfociare in un vero e proprio disagio, che può manifestarsi con disturbi del sonno, stanchezza fisica e mentale, ansia e un senso di insofferenza verso i propri figli.
Con la pandemia da Covid 19 sono in aumento i casi di burnout genitoriale, detto anche parental burnout, fenomeno che i ricercatori studiano da alcuni anni. Si tratta di una sindrome da esaurimento che si caratterizza per tre elementi fondamentali:
- esaurimento emotivo, ossia la sensazione di non avere più le energie sufficienti per svolgere i compiti quotidiani;
- distacco emotivo nei confronti dei figli;
- la sensazione di non essere un buon genitore. Ci si sente inadeguati, incapaci e non all'altezza del ruolo genitoriale.
In questo quadro, l' insofferenza verso i figli e il distacco emotivo nei loro confronti costituiscono una modalità difensiva, inconscia, volta a ridurre il dispendio di energie attraverso la riduzione del coinvolgimento emotivo nella relazione con loro. Il genitore “esausto” quindi, è meno capace di comprendere empaticamente i propri figli, è meno coinvolto nella relazione e si limita agli aspetti funzionali dell' accudimento, come lavarli, vestirli, dar loro da mangiare (Mikolajczak, Gross e Roskam, 2019).
Per contropartita il genitore prova, però, intensi sentimenti di colpa e di vergogna, ad esempio per aver perso la pazienza, per aver sgridato i bambini più del dovuto, per non sentirsi adeguato al ruolo ricoperto o per il desiderio di scappare via. Si genera così un circolo vizioso, che rischia di evolvere in vere e proprie psicopatologie.
Il burnout di un genitore, inoltre, va inevitabilmente ad impattare anche sull' altro, comportando un aumento della conflittualità di coppia.
In diversi casi, si esacerbano problematiche preesistenti fino ad arrivare alla separazione dei coniugi.
Per rompere il circolo vizioso e recuperare la fiducia nelle proprie capacità genitoriali, occorre innanzitutto riconoscere i segnali di disagio e prendersi cura di sé. Dedicare del tempo a se stessi, concedersi delle pause, riconoscere i propri bisogni e averne cura è fondamentale per “ricaricarsi”.
È importante anche poter ammettere di avere bisogno di un aiuto e rivolgersi a un esperto.
È utile, inoltre, il confronto con gli altri: vedere che non si è gli unici in difficoltà, ma che gli altri genitori condividono le stesse fatiche emotive può essere d'aiuto, anche perché permette di scendere a patti con l'ideale di genitore perfetto a cui si aspirerebbe.
Dr.ssa Stefania Arcaini
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