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A MILANO UNA MOSTRA PER INCORAGGIARE LA CITTA' A PARTIRE DOPO IL LOCKDOWN


Come seppe fare dopo le bombe dl 1943

Impossibile ricostruire, dopo un bombardamento feroce, come fu quello dell'agosto 1943?

No.

Lo dimostrano le foto della Mostra che Intesa San Paolo propone a Milano, fino al 22 novembre, nelle sale di Gallerie d'Italia esponendo le foto di quella Milano sepolta dalle macerie, accanto alle foto (realizzate dal fotografo Daniele Ratti) delle stesse piazze e degli stessi monumenti durante i mesi di marzo-aprile, durante il lockdown.

È impressionante vedere piazza San Fedele con la statua del Manzoni miracolosamente illesa, mentre alle sue spalle la Chiesa è quasi scoperchiata ma, ancora più stupefacente è vedere l'immagine di Piazza San Fedele ordinata, perfettamente pulita e assolutamente deserta… durante la pandemia.

Moltissimi sono i “quadri” messi a confronto nella mostra: dalla Scala a corso Vittorio Emanuele, dalla Statale al Cenacolo, da Piazza Fontana al quartiere di Brera.

Il messaggio della Mostra è evidente. Parafrasando quanto disse Antonio Greppi (primo Sindaco di Milano nel dopoguerra), ci offre lo stesso proposito:“Molto si è distrutto, ma noi tutto ricostruiremo con pazienza e con la più fiduciosa volontà”.

Certamente ora il nemico è diverso, non si tratta di “Pippo” (questo era il nomignolo attributo all'incursore anglo-americano), non si tratta di rossi o di neri… qualunque fosse la trincea dalla quale si combatteva quella drammatica guerra civile, l'identità del nemico era certa e riconoscibile.

Non è così oggi.

Ma, soprattutto, sono diverse le macerie: non palazzi sventrati e case scoperchiate ma… distanze! Una distanza che da sociale rischia di trasformarsi in distanza umana nonostante oggi – a differenza di ieri – sia possibile guardarsi in viso anche se lontani chilometri.

Le macerie di oggi si chiamano relazioni e l' ostacolo che si oppone, più ingombrante di ogni altro, alla ricostruzione non è il perdurare del Covid ma il circo mediatico, il protagonismo e la battaglia dei numeri che ha scatenato e scatena.

Anziché prendere atto che, nella realtà, la nostra esistenza è cambiata ed è forse destinata a cambiare ulteriormente (non sappiamo in che modo – non facciamo parte del circo) le energie della maggior parte di noi si sta consumando nel “prender partito” fra le opposte fazioni in campo, sostenuti in questo esercizio dalla regola – tutta italiana – “A me non mi freghi!”.

Come era diversa la voglia di ricostruire in quel lontano 1945.

Come era vibrante la certezza che si poteva ricostruire solo facendolo insieme.

L'individualismo è purtroppo una caratteristica del giorno d'oggi e il Covid l'ha peggiorato più di quanto non riesca a danneggiare il nostro respiro.

Vergognamoci nel guardare quelle foto, vergognamoci del nostro agitarci e sputar sentenze mentre quegli uomini e quelle donne restavano muti di fronte alla distruzione con la “D”maiuscola e in quel silenzio coltivavano solo il pensiero di tornare a vivere.

Il messaggio della mostra dovrebbe diventare comandamento, non solo per i massimi sistemi ma anche per la vita quotidiana di ogni città.

Per questo vogliamo suggerire al prossimo Sindaco della nostra città (chiunque egli/ella sia) di fare proprio questo principio: noi ricostruiremo con pazienza e – aggiungiamo – con umiltà, perché quando si manifesta un pensiero opposto al nostro non è una dichiarazione di guerra, è lo stesso oggetto guardato con occhi diversi dai nostri.


La Redazione

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