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LA DENUNCIA PER DIFFAMAZIONE



La diffamazione è un reato che consiste nell' offendere la reputazione di una persona assente. Il reato di diffamazione è più grave quando si attribuisce alla persona offesa un fatto determinato, quando è commesso a mezzo stampa oppure con altro mezzo di pubblicità (ad esempio tramite internet o i social).

La verità dell'affermazione non esclude la diffamazione. Tuttavia, esiste il diritto di critica, e il diritto di cronaca nella misura in cui l' affermazione è vera, è espressa in modo non offensivo e risponda ad un certo interesse sociale. Chiunque vede la propria reputazione ingiustamente lesa ha diritto al risarcimento del danno. Il reato di diffamazione è distinto sia dall'ingiuria che dalla calunnia.

La parola “Diffamazione”, in senso generico, indica un'offesa alla reputazione altrui.


La reputazione indica la considerazione che gli altri membri della società hanno – o dovrebbero avere – della persona offesa, delle sue qualità morali, giuridiche e umane.

È evidente l'importanza del diritto alla propria reputazione. Quasi ogni relazione significativa nella vita sociale (che sia familiare, professionale, politica o di amicizia) presuppone che gli altri ci trattino in una certa maniera, secondo l'idea che si fanno della nostra persona.

Una “cattiva reputazione” può portare a rompere legami di amicizia o a essere allontanati da certi gruppi sociali. Può mettere in pericolo rapporti di lavoro (ad esempio, precludersi un' assunzione o perdere la fiducia dei clienti). Può diminuire il consenso a livello sociale e politico, e così via.

Il termine “diffamazione” ha un suo uso e significato nel linguaggio comune. Tuttavia, assume nel mondo del diritto un'accezione ben precisa, in quanto corrisponde ad un fatto punito come reato dalla legge penale. Sotto l'aspetto giuridico, la diffamazione è un reato che fa parte dei “delitti contro l'onore”. Precisamente il reato di diffamazione si realizza ogni volta che, comunicando con più persone, si offende la reputazione di una persona assente.

Il reato di diffamazione è punito dall'articolo 595 del codice penale, il quale prevede diverse pene per diversi tipi di diffamazione, in relazione alla gravità del fatto. Nell'ipotesi più semplice, chiunque, “comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 1.032”.


Il reato è più grave quando colui che diffama attribuisce all'offeso un fatto determinato.

Perché la diffamazione sarebbe più grave se la lesione dell'altrui reputazione si realizza attraverso l' attribuzione di un fatto determinato? La ragione sta nel diverso effetto che questo tipo di offesa ha sulla considerazione che gli altri membri della società hanno della persona offesa. L'attribuzione di un fatto determinato aumenta la credibilità della diffamazione e può contribuire a dipingere in modo ancor più negativo la persona offesa.

Quando la diffamazione consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la pena prevista dall'art. 595 c.p. è quella della reclusione fino a due anni oppure una multa fino a euro 2.065.


Il reato di diffamazione può anzitutto essere commesso con semplici dichiarazioni orali, mediante scritti o attraverso immagini.

In realtà, qualsiasi forma di “comunicazione” verso più persone, lesiva della reputazione altrui, può integrare il delitto.


Una forma di diffamazione aggravata è quella che si realizza con il mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità (materiale o – come vedremo – anche digitale).

Inoltre, la stessa gravità ha la diffamazione trascritta in un atto pubblico. In queste ipotesi la diffamazione è punita con la reclusione da sei mesi a tre anni o con una multa non inferiore a euro 516.

È chiaro infatti che l'offesa alla reputazione e i danni conseguenti sono potenzialmente molto più gravi se le espressioni diffamatorie sono riportate dalla stampa oppure se sono diffuse da altri mezzi di pubblicità. Il fatto poi che le dichiarazioni lesive della reputazione altrui siano presenti in atti pubblici rischia di conferire ad esse maggiore credibilità.

Se all'atto diffamatorio a mezzo stampa si aggiunge la circostanza che esso consiste nell'attribuzione alla persona offesa di un fatto determinato, la pena prevista è particolarmente severa. Si tratta della reclusione da uno a sei anni insieme a una multa non inferiore ad euro 258 (si veda l'art. 13 della legge sulla stampa).

In secondo luogo, la legge penale punisce anche il direttore o vicedirettore responsabile se il reato di diffamazione è avvenuto perché hanno colpevolmente omesso di esercitare il dovuto controllo sui contenuti del periodico. La pena per questi soggetti è quella stabilita per il reato di diffamazione che avrebbero dovuto impedire, tuttavia diminuita fino a un terzo.

Questa disciplina si applica all'editore della pubblicazione, se si tratta di stampa non periodica e se l'autore della pubblicazione è ignoto o non imputabile. Oppure allo stampatore, se l'editore non è imputabile o non è indicato.

In tutti i casi di diffamazione che abbiamo considerato fin qui, le pene sono ancora aumentate (fino a un terzo) se l'offesa è rivolta a un “Corpo politico, amministrativo o giudiziario”, a una sua rappresentanza o a una “autorità costituita in collegio”. Ciò in ragione della particolare credibilità e considerazione sociale di cui dovrebbero godere questi soggetti.


Non c'è dubbio che anche su internet si può commettere il reato di diffamazione.

Il tema è particolarmente importante e delicato, in quanto ormai la rete è divenuta uno strumento di comunicazione di primaria importanza.

Da un lato, la facilità, la velocità e la possibilità di comunicare con un numero illimitato di persone lo rendono un mezzo indubbiamente utile, tuttavia proprio quelle caratteristiche possono rendere internet pericoloso se usato per ledere la reputazione altrui (oppure per commettere altri reati).


Mediante internet si può, comunicando con più persone, offendere la reputazione di una persona che non è destinataria (almeno diretta) di quella comunicazione.

Di recente si è posto il problema della natura delle comunicazioni sui social media, e in particolare quello della loro rilevanza penale qualora risultassero offensive. La giurisprudenza ha risolto nel senso che in linea di principio nulla vieta che anche attraverso i social si commettano atti riconducibili alle disposizioni di cui all'art. 595 del codice penale (diffamazione).

In particolare, anche su Facebook è possibile offendere la reputazione altrui, comunicando con più o addirittura un numero indeterminato di persone. Si pensi alla pubblicazione di un post, oppure ai commenti, che possono essere letti da moltissimi utenti. In questi casi inoltre, l'eventuale diffamazione risulterebbe aggravata dall'uso di un mezzo di “pubblicità”.

Il reato potrebbe essere dunque punito con la reclusione da sei mesi a tre anni o con una multa non inferiore a euro 516.

Avv. Dario De Pascale

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