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RISARCIMENTO DEL DANNO DA RESPONSABILITÀ MEDICA AL TEMPO DEL COVID-19

improntaredazione

Con la Legge n. 76 del 28.5.2021 è stato convertito, con modificazioni, il DL 1.4.2021, n. 44 “Misure urgenti per il contenimento dell'epidemia da COVID-19, in materia di vaccinazioni anti SARS-CoV-2, di giustizia e di concorsi pubblici” che ha introdotto, fra l'altro, il cd. "scudo penale" per i reati di omicidio colposo (art. 589 c.p.) e lesioni personali colpose (art. 590 c.p.) che abbiano trovato la loro causa nel noto contesto epidemiologico-emergenziale.

Con la predetta norma, sono stati anche introdotti i criteri sulla scorta dei quali il giudicante sarà chiamato a valutare la sussistenza della colpa grave e cioè i solo casi nei quali può derivare, per effetto dello “scudo penale”, la responsabilità di cui alle summenzionate previsioni del codice penale.


In particolare, le modifiche sono avvenute a seguito dell'inserimento dell'art. 3-bis “Responsabilità colposa per morte o lesioni in ambito sanitario durante lo stato di emergenza epidemiologica da COVID-19” secondo il quale:

“ 1. Durante lo stato di emergenza epidemiologica da COVID-19, dichiarato con delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020, e successive proroghe, i fatti di cui agli articoli 589 e 590 del codice penale, commessi nell'esercizio di una professione sanitaria e che trovano causa nella situazione di emergenza, sono punibili solo nei casi di colpa grave.

2. Ai fini della valutazione del grado della colpa, il giudice tiene conto, tra i fattori che ne possono escludere la gravità, della limitatezza delle conoscenze scientifiche al momento del fatto sulle patologie da SARS-CoV-2 e sulle terapie appropriate, nonché della scarsità delle risorse umane e materiali concretamente disponibili in relazione al numero dei casi da trattare, oltre che del minor grado di esperienza e conoscenze tecniche possedute dal personale non specializzato impiegato per far fronte all' emergenza”.


La legge di conversione del DL 44/2021 ha certamente accresciuto - nell'ambito penale - le tutele a favore degli operatori sanitari chiamati a fronteggiare in prima linea l'emergenza epidemiologica (precisando anche i criteri d'ausilio al giudice penale nella valutazione della colpa grave, come ad es. la “limitatezza delle conoscenze scientifiche al momento del fatto sulle patologie da Sars-Cov-2 e sulle terapie appropriate” e la “scarsità delle risorse umane e materiali concretamente disponibili in relazione al numero dei casi da trattare” etc.).

Non è tuttavia altrettanto certo che sul corrispondente piano civilistico operi implicitamente, allo stato, un analogo “scudo civile” a protezione specifica di strutture ospedaliere, medici e operatori sanitari cui sia imputabile la responsabilità civile da lesione o morte di un paziente affetto da SARS-CoV-2 e/o infettatosi in un contesto ospedaliero ove il paziente si fosse recato per ricevere le cure necessarie per altre patologie.

Sul piano civilistico manca, allo stato, una norma espressamente idonea ad assicurare a strutture e sanitari la medesima protezione accordata sul piano penale dall'art. 3 bis del DL 44/2021 in commento.

Certamente l'art. 7 della L.n. 24/2017 (cd. legge Gelli-Bianchi) ha delineato una netta demarcazione fra la responsabilità civile della struttura sanitaria (contemplata al primo comma, “…ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del codice civile….”) e quella dell'esercente la professione sanitaria (contemplata al terzo comma, “…ai sensi dell'articolo 2043 del codice civile….”), senza tuttavia essere stato oggetto di integrazioni e/o deroghe ad hoc per il caso di responsabilità scaturite nel contesto emergenziale covid-19.

Nell'attuale contesto pandemico (caratterizzato dalla novità della patologia e conseguente carenza di un' esaustiva letteratura scientifica e di approccio terapeutico) viene spontaneo chiedersi quindi, all'esito dell'introduzione dell'art. 3 bis del DL 44/ 2021, quale sia il perimetro della responsabilità civile di strutture e sanitari (cioè, la condotta concretamente esigibile) e quali le norme invocabili a beneficio di quanti si siano trovati, loro malgrado, ad operare in un contesto così anomalo.

Sicuramente merita di essere citato l'art. 2236 c.c. “Responsabilità del prestatore d'opera”, secondo cui il professionista risponde solo per dolo o colpa grave tutte le volte in cui il caso implichi la soluzione di “problemi tecnici di speciale difficoltà”: una norma “chiave” che ha prestato il fianco ad un' estensione interpretativa da parte del giudice penale molto più audace di quanto non sia stato fatto, quantomeno sino ad oggi, dal giudice civile.

Questa norma sembrerebbe invocabile nel contesto della gestione dei contagi / cura delle infezioni da SARS-CoV-2, se si considera la limitatezza delle conoscenze scientifiche e dei relativi protocolli terapeutici, delle risorse professionali disponibili e dei materiali con cui le strutture, i medici e gli operatori sanitari stanno facendo i conti da oramai oltre un anno a questa parte.

Tuttavia, allo stato non esistono ancora significativi precedenti del giudice civile che abbiano espressamente sancito la possibilità di invocare l'art. 2236 c.c. a discolpa di strutture e sanitari che abbiano operato in un contesto emergenziale - epidemiologico, nonostante sembri tutto sommato ragionevole qualificare come “problema tecnico di speciale difficoltà” (di cui all'art. 2236 c.c.) l'attuale contesto emergenziale, oggettivamente connotato dalle difficoltà aggiuntive dovute alla saturazione del sistema sanitario e alla scarsezza di conoscenze scientifiche esaustive.

La giurisprudenza civile, invece, ha piuttosto limitato l'applicazione dell'art. 2236 c.c.:

a. all'ambito dell'imperizia, senza fare cenno a specifici contesti epidemiologico-emergenziali (“La limitazione di responsabilità professionale del medico chirurgo ai soli casi di dolo o colpa grave, ai sensi dell'articolo 2236 Codice Civile: attiene esclusivamente alla perizia, per la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, con esclusione dell'imprudenza e della negligenza” - Cass. Civ. Sez. III, n. 6093/2013);

b. alle ipotesi straordinarie ed eccezionali, non adeguatamente studiate e/o al centro di vivaci dibattiti sui sistemi diagnostici e terapeutici consigliabili (“La responsabilità del medico è limitata alle ipotesi di dolo o colpa grave ex articolo 2236, comma 2, c.c. allorché si presentino casi…che trascendono la preparazione media o non ancora esclusivamente studiati dalla scienza medica” - App. Roma Sez. III, 5/7/2011).

Nella ricerca di soluzioni che nel presente contesto possano soccorrere, anche in sede civile, è lecito rinvenire una sorta di “scudo” quantomeno nei casi in cui strutture e sanitari abbiano dovuto fare i conti con un oggettivo ed imprevedibile aggravio delle proprie obbligazioni (cui erano a diverso titolo tenuti la struttura, in termini di responsabilità contrattuale e gli operatori sanitari, in termini di responsabilità aquiliana).

Rispetto ai cd. “obblighi di spedalità”, ad esempio, un conto è esigere che la struttura abbia - a distanza di un anno e mezzo dall'inizio della pandemia - implementato una struttura di risk management idonea ad evitare i contagi all'interno della stessa in danno di chi, in piena emergenza Covid, abbia dovuto necessariamente recarsi presso una struttura o un professionista per ricevere le cure richieste per le patologie diverse dal covid; altra cosa, invece, è pretendere che un medico o una struttura sanitaria siano stati onerati di assicurare tali misure già all' indomani della declaratoria dello stato di emergenza.

Di qui muove la sollecitazione in via generale ad una rilettura degli artt. 1176, 1218, 2043 e 2236 c.c. volta a stabilire in concreto quale sia la prestazione effettivamente esigibile nell'uno e nell'altro caso (cioè, il grado della responsabilità da contatto sociale o extracontrattuale), soprattutto tenendo a mente l'esatto momento e contesto storico in cui il fatto rilevante è accaduto.

Nel compiere tale percorso interpretativo/valutativo, il giudice civile dovrà essere orientato proprio dalle oggettive peculiarità dell' epidemia e quindi, dalla stessa normativa cd. “emergenziale”, come da ultimo il DL 44/2021, che pur nel diverso contesto della responsabilità penale, ha nondimeno posto l'accento su fattori apprezzabili trasversalmente, anche ai fini della responsabilità civile, quali appunto: (1) lo stato della conoscenza scientifica al momento del fatto; (2) la scarsità delle risorse umane e materiali; (3) il grado di esperienza e conoscenze del personale impiegato.

Vi è da ritenere, tuttavia, che ogni caso andrebbe esaminato con le sue intrinseche peculiarità, posto che a mio avviso in tale contesto vi è ampio spazio per configurare responsabilità da malpractice ed avanzare richieste risarcitorie. Tutto quanto sopra, infatti, offre solo uno spunto a livello interpretativo: vi è da ritenere che una volta esaurita l' emergenza pandemica, prolifereranno le richieste in sede giudiziale di risarcimento dei danni da parte di chi sostenga di non essere stato assistito adeguatamente o addirittura di aver subito una perdita parentale a causa della carente o deficitaria assistenza sanitaria erogata: sarà quindi interessante monitorare gli orientamenti giurisprudenziali in una materia che si prospetta sicuramente molto spinosa.

a cura di Avv. Dario De Pascale

d.depascale@depascaleavvocati.it - Tel. 02.54.57.601

Per qualsiasi approfondimento delle tematiche affrontate, vi invito a contattarmi ai recapiti sopra indicati.

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