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A UN PASSO DAL CENTENARIO, L’INTERVISTA A...ELIO RODRIGUEZ, CLASSE 1925

Elio, vuoi raccontare qualcosa di te ai nostri lettori?

E.: Certamente, sono nato il 29/11/1925 a FERRARA ma grazie a mio padre bancario di carriera ho vissuto spezzoni della mia vita a Reggio Emilia ( dove nacque mio fratello Marcello), a Lucca (dove nacque mia sorella Ornella), a Torino, a Palermo (dove nacque mio fratello Manlio) e infine a Milano nel marzo 1943 giusto in tempo per ricevere l'invito a presentarmi il 3 dicembre dello stesso anno al distretto militare di Pavia caserma Umberto 1°del Genio per essere arruolato nell'esercito della Repubblica Sociale Italiana.

Non avevo scelta data la situazione familiare ragion per cui mi presentai e scelsi il Corpo dei Guastatori Alpini che aveva acceso il mio desiderio di avventura. Il mio battaglione venne trasferito a Iesolo per le esercitazioni a base di esplosivi e lanciafiamme, prove di ardimento come lanciarsi da un manufatto di mt 5,5: ero l'unico di 500 militari che si lanciava da quell'altezza col volo ad angelo e atterraggio con capriola alla paracadutista sulla sabbia....e quante volte me lo hanno fatto rifare per dimostrazione (non mi sono mai insaccato...meno male!). Finite le esercitazioni e dopo vari spostamenti siamo stati trasferiti a Vittorio Veneto in attesa di essere impiegati nel fronte nordorientale per intervenire nel caso in cui i Titini (jugoslavi) attraversassero il confine.

 

Mi raccontavi che per ben tre volte hai visto la morte in faccia…

Esatto! Proprio a Vittorio Veneto ho sfiorato la morte per la prima volta: dovevo uscire di ronda come di consueto, ma avendo la febbre, mi sostituirono col mio amico per la pelle (Fioravanti) che perse la vita al mio posto.

La seconda volta fu a Bassano Del Grappa vicino al fronte. Ero in libera uscita quando sentii un fracasso assordante, mi guardai in giro, non poteva essere un carro armato perché le stradine non lo consentivano, guardai per istinto in alto e vidi ahimè una bomba di aereo da 500 kg fornita di elica per mantenere la perpendicolarità verso il suolo, pensai che ormai ero al capolinea e.....BOOM un polverone che sembrava nebbia fitta, mi toccai, ero ancora vivo grazie a un muro di mattoni pieni, largo almeno mezzo metro che trovandosi fra me e la bomba mi aveva salvato la vita. Era in atto un bombardamento e fu il giorno in cui fu danneggiato il famoso Ponte degli Alpini, quanto aiutammo la popolazione! Ricordo che quando finita la guerra ci ritirammo a Marostica (era il 2 maggio e la guerra era finita il 25 aprile) nell'attraversare la città cantando il nostro inno la gente usciva dalle abitazioni mandando baci e applaudendo in segno di amicizia e ringraziamento per il nostro fraterno comportamento. Che piacere ed emozione, oggi come ieri…

Riuscii ad avere da persone amiche abiti civili e insieme a una decina di commilitoni lombardi Pedibus Calcantibus cominciammo il lungo viaggio di ritorno verso casa. Senonché, non so se fossimo ancora nel Veneto o in Lombardia, fummo circondati da un gruppo di partigiani, arrivati al loro campo fummo messi al muro (anche questa volta ero rassegnato e speravo che mi centrassero il cuore per evitare anche il classico e decisivo colpo alla nuca) e col dito già sul grilletto si sentì dire ALT: era il comandante del campo che ignorando quanto stava accadendo aveva bloccato all'ultimo secondo la fucilazione.

I partigiani che avevano scavalcato il comandante si giustificarono: sono repubblichini e stiamo facendoli fuori. Uno dei nostri fece presente al comandante che avevamo avuto l'Onore delle armi e il lasciapassare per tornare a casa.

Stupito il comandante volle vedere i lasciapassare e siccome conosceva quale era stato il comportamento del nostro battaglione ordinò ai partigiani di liberarci. Alle loro proteste replicò con queste parole che nonostante i 78 anni trascorsi sono ancora impressi nella mia mente: NON COMINCIAMO MALE, LA GUERRA 'FINITA, BASTA SPARGIMENTO DI SANGUE. Ho conservato quel foglietto di carta al quale devo la vita, ho anche cercato di contattarlo in seguito per ringraziarlo ma non ci sono riuscito, un vero UOMO D'ONORE!

 

Come è stato il rientro in famiglia?

Arrivato a casa i miei mi accolsero con grande gioia perché ormai disperavano di vedermi. Anche i miei due altri fratelli erano riusciti a tornare a casa ma uno claudicante per ferita di guerra e l'altro dopo qualche mese di campo di concentramento.

Ma non è finita così: dopo qualche settimana bussarono alla porta i partigiani che cercavano il sottotenente Ermanno Rodriguez (il fratello claudicante): grande apprensione, mia madre che aveva aperto intrattenne i partigiani chiedendo chiarimenti mentre mio padre aiutava mio fratello a fuggire da una finestra dopo avergli dato un po' di denaro.

Ma i partigiani non mollavano, volevano il sottotenente e nonostante venissero invitati a ispezionare l'appartamento non transigevano. Mi offrii al posto di mio fratello e così mi feci cinque lunghissimi e schifosissimi mesi di campo di concentramento, mi beccai la pleurite e l'elicobacter pilori, dormii su un pagliericcio e con una lurida coperta di lana, il gabinetto era una fossa di una ventina di metri con quattro coppie di assi per appoggiare i piedi: insomma un hotel a cinque stelle!

Tornato a casa i miei dopo la prima notte dovettero bruciare il materasso e le lenzuola perché si erano riempiti di piattole.

Quanti bagni feci e quanto MOM mi sparsi sul corpo. Ma, ironia della sorte, i miei mi dissero che i partigiani erano arrivati dietro denuncia di una ragazza della scala che si era innamorata di mio fratello che però l'aveva respinta perché già promesso sposo e alla vigilia delle nozze. La ragazza si era poi trasferita forse per paura di rappresaglia. E io mi ero goduto il campo di concentramento e relative conseguenze per questo assurdo motivo mentre mio fratello aveva realizzato il suo sogno.

 

E come è stato il rientro alla vita normale?

E.: Dopo qualche mese, ripresi a studiare ma l'aria non era troppo buona: mi sentii dare dell'assassino anche se per offesa o difesa non avevo mai avuto la necessità di ammazzare qualcuno: non ho mai avuto l'istinto del criminale e ancor oggi sorrido e aiuto per quanto possibile il mio prossimo.

Fu così che rinunciai a proseguire gli studi: il mio sogno era di laurearmi in Ingegneria aeronautica, gli aerei erano la mia passione e da ragazzo li disegnavo e costruivo dei modellini in balsa.

Trovai un lavoro in nero in un'azienda di ricambi d'auto dopo avere conseguito un diploma di computisteria alle serali richiestomi per esercitare quel lavoro: vendita al banco, magazziniere, inventario, contabilità e bilancio.

Dopo due anni mio padre mi disse di avere letto sul Corriere un annuncio di una certa Società Nazionale Metanodotti che cercava lavoratori di ogni genere per lo sviluppo dell'azienda. Presi un giorno di ferie e mi recai al Palazzo Serbelloni, corso Venezia,16 a Milano dove venni ricevuto da un addetto dell'ufficio del personale.

Tutto filava per il verso giusto ma quando alla richiesta del servizio militare se fatto o da fare, l'addetto si sentì dire che ero stato un repubblichino, non importa se di leva, mi cacciò via in malo modo, urlando attirando l'attenzione di quanti nei pressi.

Riferii a mio padre che dispiaciuto mi disse che avrebbe aggiornato un amico di lavoro, l'onorevole G.M della Banca Commerciale Italiana. Il giorno dopo venni chiamato dall'ufficio del personale ed ebbi il piacere di essere assunto. Non sapevo nemmeno chi fosse il Presidente della SNAM (attuale logo), so solo che mi innamorai del lavoro (ufficio acquisti), la pratica di lavoro precedente mi aveva agevolato, svolsi l'incarico con soddisfazione dei vari capi avuti nel corso del tempo, fui inviato a giornale Il Giorno per sistemare l'ufficio acquisti, il magazzino, codificai tutti i materiali sia d'ufficio che di rotativa, e dopo due anni di duro lavoro (cominciavo alle otto e terminavo alle ventidue).

Fui richiamato in sede per svolgere un lavoro ancora più interessante presso il Servizio Materiali delle Società del Gruppo ENI. Questo nuovo lavoro mi permise di migliorare le mie conoscenze anche nel settore della pipeline, di avere un buon "ad personam ", e di finire come QUADRO.

 

Quale ricordo hai di Enrico Mattei?

E.: Il ricordo di Mattei, che fu un uomo di grande valore, imprenditore eccezionale, visionario, padre e fratello dei suoi collaboratori che lo hanno amato e rispettato anche dopo morto (vedi l'APVE, l'Associazione Pionieri e Veterani Eni). Ogni volta che veniva a Metanopoli lasciavo immediatamente il lavoro e andavo a fotografarlo.

In occasione della sua visita del 3 dicembre 1955 lo invitai a sorridere ed è così che gli strappai quel sorriso che è in grande all'ingresso del Parco Mattei, all'Archivio storico del Comune di San Donato Milanese, nell'ufficio APVE di Bolgiano, senza contare le volte che è stato pubblicato sul periodico del nostro Comune, sul Corriere della Sera e su altri giornali e/o periodici. Per mia grande soddisfazione.

 

E così sei diventato il fotografo ufficiale dell' APVE, ma hai anche la passione dei colori…

E.: Amo i colori. Li ho dipinti e li ho fotografati in tutte le stagioni: vedi la sezione Flora e Autunni nel mio sito

Recentemente, con mia grande sorpresa, sono stato premiato dall’Associazione per il mio impegno in prima liena, in veste di fotografo ufficiale.


Hai avuto una storia d'amore con la A maiuscola con tua moglie Iole, cosa pensi dell'amore ai giorni nostri?

Sono rattristato nel vedere che l'AMORE quello vero non esiste quasi più. Il matrimonio lega troppo ed essere compagni facilita distruggere la famiglia anche quando ci sono di figli: egoismo, convenienza, superficialità, cecità, non ci sono più i valor di una volta. Sono stato felicemente sposato e il vuoto che ha lasciato la morte di mia moglie è veramente incolmabile.

Carla Paola Arcaini




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